Società, Tarcento Basket

NON DISTURBATE (ROMPETE I C—–I) AL DIRETTORE D’ORCHESTRA ( cit. A Toscanini)

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Siamo tutti nella stessa barca: basta crederci e volerlo

Il Punto del Pres. a metà stagione

Per una serie di coincidenze il 2017, che chiude a giorni, è stato un anno in cui Arturo Toscanini– nato a Parma nel 1867, e morto a New York nel 1957, alla età di novanta anni., è stato molto citato e ricordato, grazie all’ anniversario delle nascita e morte i. Ottime celebrazioni si sono svolte nei teatri e trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo. In una delle serate di scarico delle tensioni accumulate nei post-partita, ho assistito a quella di Riccardo Muti su RAI 5.Il maestro ha raccontato l’aneddoto che mi ha suggerito il titolo di questo punto e ispirato le riflessioni/bilancio d fine anno, introdotto i propositi per il nuovo entrante . Racconta Muti che Toscanini sarebbe stato solito dire ai suoi giovani maestri-musicisti che l’orchestra non “andrebbe disturbata” – nella versione ufficiale, ovvero che alla orchestra non si dovessero “ rompere i coglioni “ nella versione più verosimile. Toscanini è stato famoso e celebrato per il suo perfezionismo maniacale (si ostinava a dirigere a memoria senza partitura, caso unico rimasto tale ad ogg), ma è tutt’ora ricordato anche come un direttore molto severo e con un caratteraccio. Si dice lanciasse a i suoi orchestraliche non lo soddisfavano l’orologio a cipolla , una scarpa o la bacchetta peraltro non utilizzata. Ma non è questo il caso. Qui Toscanini non vuole riprendere i musicisti ma dare loro una lezione: l’orchestra è fatta dal collettivo non dai solisti, che – anzi – corrono il rischio di —- disturbarla, o, peggio , di romperle i—- coglioni. Prendo a prestito la metafora e un po’ alla volta cercherò di spiegarmi meglio, iniziando con il riconoscere che una società e/ o una squadra di basket non sono e non funzionano come una orchestra. Oddio: i tromboni ed i pifferai a volte non mancano, talvolta addirittura prevalgono. Venendo, però, al serio e immaginandomi dentro alla metafora direi che :

Il basket non è una orchestra, nemmeno quella di Fellini: il mio 50% di sangue emiliano-romagnolo mi ha portato ad adorare Federico Fellini. Non tutto, “Otto e mezzo” non l’ho ancora capito, “La luna” e “La città delle donne” mi hanno molto annoiato. Il mio Fellini è quello de “la strada “, che gli valse il primo oscar, e quello de” I vitelloni”, di” Amarcord” – forse perché girato nell’aia dei miei parenti dove ho trascorso buona parte della adolescenza e la mietitrebbia che si vede è quella sulla quale ho giocato tante estati con i cugini e gli amici. Ma – in assoluto – per me il capolavoro è Prova di orchestra. In questo film Fellini dà il meglio di sé nella rappresentazione degli stereotipi e archetipi dei personaggi che compongono il catalogo/repertorio del genere umano e trasmette la sua idea malinconica e rassegnata sulla decadenza della società, incapace di autoregolamentazione , priva di senso civico e bisognosa di un dittatore per funzionare e che nasce da ogni forte cambiamento epocale.

Il pres. non è un direttore di orchestra: credevo di averlo imparato, ma in questa prima metà di stagione sportiva ci sono cascato più volte. E’ più forte di me anche se non sono Toscanini, però come e più di lui strapazzo i collaboratori che – invece- dovrei valorizzare, ringraziare ,manifestare loro riconoscenza o tutt’al più coordinare .A mia molto debole e fragile attenuante sta il fatto che prima che sugli altri indirizzo severità a me stesso: la dimensione associativa e volontaristica di Tarcento Basket non può – a mio avviso – farsi alibi per le inadempienze ,i ritardi, le approssimazioni, la confusione , il pressapochismo. Altrimenti, il minimo che ti può accadere è la perdita di tempo ed il sovraccarico di lavoro e responsabilità per alcuni costretti alla supplenza per le inadempienze degli altri. Non mi spetta dirigere l’orchestra ma tutelare la equità e l’ordine del gruppo, il rispetto delle scadenze si. Non voglio abdicare al ruolo che mi compete, anche perché non ne sarei capace.

Nemmeno se ti chiami Horowitz puoi fare tutto da solo: anche il grandissimo pianista ucraino, pur lui di adozione statunitense come il suocero Toscanini, se suonava in una orchestra – e non in concerti da solista – non si permetteva di trascurare e tantomeno snobbare gli altri strumenisti. Così – pure nel basket- a meno che tu non ne faccia 40, proprio 40 a partita, e da qualsiasi parte del campo – se serve il tiro magico e risolutore – la butti dentro, puoi pretendere che i compagni passino la palla sempre e solo a te, ti scaldi e li insulti se tirano qualche volta pure loro, ti lasci andare a sceneggiate turpi se sbagliano, mentre se sbagli tu è colpa del destino o dell’arbitro che non ti ha concesso un fallo. Non sono questi i giocatori che fanno vincere una squadra, questi al massimo creano tensione in campo e in spogliatoio e espongono la squadra al pubblico ludibrio.

Come una “prima donna “se il coach non riesce a decidersi tra presunzione e insicurezza : molto meno che nel calcio, anche nel basket – quando le cose non vanno bene o non girano come dovrebbero girare- il primo pensiero va al coach: non sa ottenere dai giocatori ciò che potenzialmente potrebbero esprimere , sa solo “ cazziarli”, non sa motivarli, trascinarli al successo, non sa inventarsi – quando servirebbe – il “magheggio “ che può rovesciare la situazione sfavorevole, ha solo visto qualche partita e letto qualche libro ma non ha esperienza , non capisce nulla di preparazione atletica, è forte con i deboli e schiavo dei senatori, va a simpatie. M fermo, anche se il repertorio dei leit motiv non sarebbe finito. Intendiamoci; è vero: in campo ci vanno i ragazzi, ma il team non si ferma al quintetto in campo al momento. Il team comprende la panchina e lo spogliatoio. “ in campo ci vanno i ragazzi “ lo possono dire solo il pubblico, il Pres. e il dirigente accompagnatore. Nessun altro, a meno che non ci si trovi di fronte a casi eclatanti di diserzione, ma anche in questo caso , il coach qualcosa deve dire e fare. Altrimenti al suo posto potremmo mettere un juke box o una slot machine: costerebbero di meno, avrebbero minore necessità di manutenzione e – in base al solo calcolo probabilistico- avrebbero maggiori probabilità di fare bingo.

Questo è ciò che ho capito dal 2017 che va a morire, questo è ciò che devo risolvere nel 2018 che sta per nascere ( at)