Società, Tarcento Basket

NESSUNA REGOLA E’ INFALLIBILE. ALCUNI ERRORI DA NON FARE. (Giulio Andreotti)

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Foto Menis.it

Un po’ di autocritica: potrei cavarmela ancora con un aforisma di Giulio Andreotti – il “divo Giulio – secondo il quale “ non basta aver ragione. Bisogna avere anche qualcuno che te la dia “. Dall’ anno scorso mi chiedo cosa sia meglio per il basket Tarcentino: costruire una prima squadra di outsider,- andandoli a prendere dove ci sono , dove li trovi e ….“ rimborsandoli il dovuto” per quanto chiedono – oltre al parametro NAS, oppure allestire, nel tempo richiesto una prima squadra frutto del vivaio locale , fatta di giovani tesserati in casa – che quindi non costringono a NAS- e non godono di rimborsi avendo il palazzetto di fronte a casa ? La risposta sembrerebbe scontata, ovvia e naturale. Lo è meno di quanto possa sembrare. Una prima squadra attraente e competitiva, bella da vedere – ancorché mercenaria – assolve al compito di faro di orientamento e attrazione per i giovani. Tuttavia, anche se formalmente il fattore scatenante la rinuncia dello scorso anno alla CGOLD è stata la acclarata seppur tardiva percezione della non sostenibilità dei suoi costi, ad orientarci verso la strada dell’investimento sui giovani è stata anche la percezione della scarsa attrattività di una prima squadra interamente svincolata dal contesto locale. OGGI, a metà anno, non saprei come rispondere alla domanda sulle potenzialità di questa seconda e alternativa strada. Come sempre procedo per gradi e approssimazioni successive, tentando di costruire alla fine un mosaico esaustivo.

I numeri sono quelli che sono: negli ultimi tre anni a Tarcento sono nati circa una trentina di bimbi femmine e una ventina di maschi per anno. Questi bimbi – se decidono e quando decidono di praticare uno sport, scelgono tra: calcio, che di solito la fa da leone, volley- prevalentemente femminile- nuoto e tennis- sport individuali e basket. Basket e calcio sono sport di squadra, per cui nel primo caso se ne iscrivi meno di una dozzina e nel secondo meno di una ventina , non riesci nemmeno ad imbastire una partita, per regolamento e impraticabilità oggettiva. Ma non solo di questo si tratta: è riconosciuto ormai dalla prassi e dalla scienza che, al di sotto di una certa soglia, il gruppo non è di per sé una comunità educativa e formativa. Tarcento Basket- nonostante la forte e leale concorrenza – recluta ogni anno la metà dei bimbi maschi più qualche femmina nati a Tarcento. Non è sufficiente lo stesso. Inevitabilmente si è costretti a “gruppi pluriclasse” come nelle scuole di montagna all’inizio del secolo scorso. Anche i profani capiscono che mettere assieme un bimbo classe 2007 con uno classe 2010 è una forzatura che porta alla inconcludenza: o non ce la fa il primo oppure si annoia il secondo. Troppa differenza fisica e mentale! Già meno azzardato è allargare il reclutamento oltre Tarcento. Nimis, Magnano, Treppo, contribuiscono molto all’ incremento delle iscrizioni, e – man mano che si cresce oltre il minibasket , per definizione autarchico, e si cresce nelle giovanili, la collaborazione intersocietaria Tarcento Gemona, Tricesimo, San Daniele, Tolmezzo – per dire della nostra esperienza in atto e non parlare in astratto è una scelta ponderata ma pure obbligata. D’altronde qui valgono le regole di ogni scienza e disciplina: quelle della statistica. Se un campione o un talento nasce e si forma ogni 10 casi – il numero è buttato lì a caso fino ad un certo punto, per fare una squadra di 5 buoni giocatori – ma te ne servono almeno altri 5 per la normale rotazione– vuol dire che devi pescare in un bacino di 100 aspiranti. Stando alle nascite ufficiali a Tarcento, sono necessari almeno 5 anni che si fanno 10 per gli imprevisti.

Sembrano i numeri del lotto, ma non è così, la programmazione si fa in questo modo ed è necessario saperlo e averne contezza, per tutti, almeno e in particolare per chi ha una qualche responsabilità nella conduzione della società. Dopo di ciò, vale a dire data la realtà fattuale, quella dei ragazzi discutiamo delle scelte, dei programmi, della didattica, delle caratteristiche:

è più formativo confrontarsi con i propri pari o con chi è fuori portata ? La domanda è volutamente retorica e vuole introdurre – anche qui a proposito di autocritica – una scelta a lungo ponderata la scorsa estate e condivisa con i ragazzi e le famiglie prima dell’iscrizione ai campionati Per quanto attiene a UNDER 13 che in questo campionato 2016/2017 comprende gli esordienti dello scorso anno, la scelta è stata obbligata. Ciò nonostante si sono superate le perplessità, i dubbi, i sospetti e timori in un incontro chiarificatore con i ragazzi e le famiglie a fine agosto per mettere in tempo utile in chiaro il grande salto di qualità che quel gruppo – più goliardico e ludico che atletico e sportivo- avrebbe affrontato e le condizioni necessarie per farlo con un minimo di decenza e coerenza. Ma la vera questione si pose quando- pure qui a seguito di un incontro brillante e approfondito con tutti i ragazzi assieme e in coda all’ottimo e apprezzato ritiro estivo di Tarvisio , fu deciso che UNDER 15 e 16 si sarebbero iscritte al campionato élite.

Oggi non saprei dire se sia stata scelta lungimirante e oculata. L’idea che impari di più perdendo contro i migliori di te, piuttosto che vincendo contro i peggiori – tutto sommato è stato questo il ragionamento ad aver ispirato la scelta – in più di una occasione mi è parso almeno fragile e discutibile. Per diverse ragioni:

  1. La frustrazione prodotta – nei ragazzi e nelle famiglie – è tanta
  2. Aver vinto poco finora ma esserci andati spesso vicini e l’essere stati spesso in vantaggio per poi capitolare resta privo di spiegazioni esplicite e condivise.
  3. L’impegno richiesto e pattuito persino in un regolamento condiviso è di frequente inspiegabilmente disatteso.
  4. Il sospetto di una decisione alimentata da ingiustificata presunzione prende corpo e serpeggia.
  5. Si fatica a registrare e a tenere sotto controllo i progressi e i miglioramenti, individuali e collettivi.

Se e quando saltano i nervi: non è facile per chi deve assicurare ai ragazzi le condizioni ottimali per esprimere il meglio di sé , atleticamente e mentalmente, riuscire nell’intento se i primi a non volerlo o a rifiutarlo sono i ragazzi stessi. Tutti devono fare la propria parte, in un’azione formativa, di crescita ed emancipazione convergente, corale e complementare anche se prodotta da gradi e livelli diversi di competenza e responsabilità: ragazzi, coach, società, famiglie, scuola, ambienti di lavoro e professionali. Le variabili in gioco sono tante: benessere fisico, meglio psicofisico, preparazione atletica, conoscenza degli schemi, allenamento, spirito di squadra, giusto equilibrio tra individualità e attenzione ai compagni. Autostima, ambizione ma pure consapevole percezione di sé, dei propri limiti e delle proprie potenzialità per tendere sempre al massimo, puntare al risultato più alto possibile. Al riguardo confermiamo potenziandolo il lavoro di sempre e cerchiamo nuove strade:

  1. intensificazione degli allenamenti e della preparazione atletica,
  2. anticipazione nell’impiego dei ragazzi più volenterosi e promettenti nelle categorie e squadre immediatamente superiori,
  3. training di preparazione atletica seguita individuale,
  4. supporto fisioterapeutico,
  5. guida e supporto psicologico per i ragazzi delle squadre giovanili finalizzato alla crescita dell’autostima e dello spirito di squadra. Al riguardo è stato steso un progetto di supporto psicologico in ogni squadra giovanile con il coinvolgimento dei ragazzi, dello staff tecnico, della società e delle famiglie.

Fatto sta che soffriamo ovunque – in prima squadra e in tutte le giovanili – di limiti a dir poco strani . Quei limiti che portano i ragazzi a ridurla così…… “… se vogliamo ce la giochiamo con tutti…. E con tutte…; siamo stati lì e lì per tre quarti e poi abbiamo ceduto… siamo stati avanti anche di 10 e poi… non so cosa sia successo”. Queste affermazioni mi disturbano molto e mi ricordano un celebre aforisma di Churchill sugli italiani, bersaglio frequente oltre alle donne della ironia /sarcasmo dello statista britannico. Diceva Chirchill … “ Gli italiani vincono le partite di calcio come fossero guerre e perdono le guerre come fossero partite di calcio “. Ecco i nostri ragazzi danno evidente sfoggio delle loro immaturità e superficialità nello stesso modo.

Guai se succede con gli arbitri: finché la cosa si limita agli sproloqui, male ma tutto sommato il danno è ridotto, ma se i nervi saltano con e verso l’arbitraggio le cose si complicano e il danno è maggiore, talvolta molto alto se si è recidivi. Degli e sugli arbitri si è parlato molto, a proposito e non, si è detto tutto ciò che c’è da dire e anche di più, non serve parlarne ancora. Dispiace ma è una condizione nota e da accettare. Bisogna farsene una ragione, tanto non cambia. Lo dico a me – più volte descritto come “PRESS tifoso “- prima che agli altri.

Per parlare anche di cose positive: lunedì scorso l’incontro tra dirigenti, staff tecnico, ragazzi e famiglie di UNDER13, il gruppo che da sempre ci ha fatto penare di più e soddisfatto di meno. Pensato a dicembre quando la situazione sembrava irrecuperabile, ma volto solo ora per ragioni di calendario fiitto, quando invece la squadra è reduce da partite ed allenamenti finalmente incoraggianti, la riunione è stata partecipata, utile, un successo per clima, coinvolgimento, consapevolezza e decisioni.

L’esempio di Ruben e di Marko : sono i ragazzi Under 16 che partecipano e coinvolti non solo negli allenamenti ma pure convocati nelle partite – di campionato e amichevoli – della prima squadra. Sono convocati e felici di esserlo, ma si sono pure dati da fare per esserlo. La società e i coach – Alessio Bettarini che da sempre li segue nelle giovanili e Alberto Andriola che li accoglie in serie D- sanno se e quanto serve il loro impegno e sanno come sta andando e procedendo. Ma ieri sera portandoli alla partita e poi a casa al rientro ho voluto sentire la loro. A conferma dei loro talento, intelligenza, capacità e maturità , mi hanno dato spiegazioni e risposte puntuali, pertinenti e precise sulla loro soddisfazione e sugli inevitabili sacrifici che il surplus di fatica, ore dedicate allo sport ma non sottratte allo studio ciò comporta. E’ una avanguardia, confidiamo che altri seguano il loro esempio.

Il pubblico esterno ci ha capito : qualche giorno prima di ogni partita in casa, telefono al collega della squadra avversaria per informarlo in anticipo della decisione di applicare il biglietto di ingresso- solitamente non applicato in serie D – di modo che i tifosi al seguito siano preparati e non cadano dalle nuvole. Temevo reazioni sorprese e risentite. Invece ho avuto sempre attestazioni di comprensione e apprezzamento. Anzi, qualcuno ci ha pure seguito facendo altrettanto. Meno male ! (AT)