Società, Tarcento Basket

Vincere e sedersi sugli allori è sconfitta; perdere e non arrendersi è vittoria (cit. Josef Pilsudski)

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Vincere e sedersi sugli allori è sconfitta; perdere e non arrendersi è vittoria (cit. Josef Pilsudski)

PREMESSA, i paletti alla discussone e i suoi obiettivi di oggi: c’è un solo parametro di riferimento per le valutazioni e i bilanci. Il programmaprogetto” di fine ritiro estivo, illustrato alle squadre l’ultimo giorno e validato dalla Assemblea dei soci. Qualsiasi altro termine di confronto non è ammesso e non fa testo. Non contano le impressioni personali di alcuno, i termometri per misurare la febbre o la pressione del momento che ciascuno di noi ha in tasca. Al momento c’è un solo indicatore che tappa la bocca a tutti: la classifica. Tutto il resto sono ciance. In alcuni casi pure miserevoli. Per capirci, quelle del tipo: “avremmo potuto, sarebbe bastato”…”anche io mi sono incazzato”… “anche io glielo ho detto”…”… io per primo…” Non è successo! Più dignitoso e utile prenderne atto.

Se proprio si vuole arzigogolare o cazzeggiare, una cosa va detta: il programma è stato abbozzato – male ma è stato abbozzato – a fine agosto, riconfermato in riunione di staff a fine settembre, dove è stato detto, e non da me, anche che le verifiche sarebbero state in itinere e costanti. Non ho mai ricevuto da alcuno proposta di verifica. Quando ormai anche i marziani hanno capito che tutto stava andando a puttane, ho imbastito io la prima verifica a fine novembre. Adesso siamo a gennaio, non possiamo ragionare come se il campionato iniziasse ora. Metà lo abbiamo già gettato nel cesso, dove i nostri ragazzi gettano le pizze. Ora possiamo e dobbiamo solo valutare e decidere cosa possiamo ancora salvare e ciò che è più conveniente lasciare perdere, perché già perso o meno conveniente, anche per salvare il salvabile. Non fosse altro perché le energie, tutte – quelle fisiche, temporali, di classifica, psicologiche, finanziarie – non sono infinite, per cui vanno indirizzate dove conviene. Pensare di riproporre a gennaio gli obiettivi di settembre equivarrebbe a non salvare il salvabile.

Se il ragionamento è ritenuto freddo, arido, ragionieristico, ai limiti del cinismo amen, pazienza. A me pare intelligente e responsabile, comunque per la società è l’unico ammissibile, i coach possono solo prenderne atto, condividerlo o no non importa, ma lo devono attuare con leale collaborazione, scrupolo e zelo. E – se Dio vuole – finalmente con efficacia. A maggior ragione, visti i risultati a fine girone di andata. Non sono ammessi boicottaggi o scioperi bianchi. Se i coach non se la sentono di fare la loro parte in questo schema hanno un modo solo per evitarlo: rinunciare spontaneamente all’incarico. Ma lo devono fare ora: non ci sono i tempi supplementari. Abbiamo già sprecato abbastanza!

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CON CHI ABBIAMO A CHE FARE: il materiale umano di cui disponiamo: è stato grave – per quanto attiene alla prima squadra – , ma scusabile, che ad inizio di stagione valutazioni, stime previsioni… fossero sballate. Ora non è tollerabile, perché le evidenze sono eloquenti. Trasparenza, onestà intellettuale, senso di responsabilità, professionalità… vogliono che gli errori vengano riconosciuti e che le cose siano chiamate con il loro nome. La società ed io personalmente non siamo disposti a fingere, vogliamo essere trasparenti e franchi.

La prima squadra: la scorsa estate, tardi e a fatica abbiamo definito uno schema che altri hanno perseguito e/o stanno perseguendo con maggiore successo. Lo schema imposto anche dalla crisi strutturale del sistema basket – quella al centro del dibattito del 4 gennaio sera – la valorizzazione dei giovani – e per chi ce li ha, soprattutto del proprio vivaio – e una prima squadra imperniata su di loro oltre che sul necessario numero – per quantità e qualità – di senior/tutor/accompagnatori. Per molte ragioni, alcune comprensibili ed accettabili, altre molto meno, ci siamo trovati privi di senior , con le caratteristiche volute e cercate ma anche senza. Proprio non ne avevamo. Dopo le ricerche possibili e alle quali eravamo disposti anche in ragione della proposta che eravamo in grado di fare, abbiamo trovato un nucleo di senior residuale da due squadre retrocesse. La delusione generata dai “pezzi da 90” che dopo lungo tergiversare, hanno declinato la proposta deve farsi consapevolezza delle e sulle nostre effettive potenzialità. Tarcento – per collocazione geografica, atrofia delle radici in minibasket e settore giovanile, calore del pubblico… – non è piazza attrattiva e se e quando lo è stata è perché ha rimborsato gli atleti a tariffe ampiamente fuori mercato. Cosa non più possibile e comunque priva di senso per infinite ragioni. Se a ciò si aggiungono gli aspetti strutturali legati al declino dei giocatori che scendono dalle categorie superiori o che invecchiano tardi e male, non è difficile capire perché siamo riusciti ad imbastire solo una prima squadra che nel girone di andata non ne ha indovinata una.

Si può disquisire – anche se non serve – sul tempo speso per accorgersene. Alcuni di noi hanno sollevato serie perplessità già alla prima amichevole con il Santos, quelle successive con le squadre di promozione ci hanno fatto capire, a chi ha voluto vederlo, che avevamo sbagliato campionato. Altri hanno preteso prove di appello, inutili e che ci hanno portato ad umiliazioni cocenti e lesive del nome di una società che soltanto tre stagioni fa ha mancato di poco Coppa Italia in CGOLD e che in questa stagione celebra il 60esimo.

Ma il vero buco nero, quello che non ci rende credibili agli occhi dei poveri diavoli di cui sopra è il vuoto dell’apporto giovanile U20 – Questo è  quanto nessuno potrà mai perdonarci. Mentre nel caso dei senior attempati, acciaccati e poco brillanti, dobbiamo farci perdonare una cattiva conoscenza del mercato regionale del basket e dei suoi atleti, nel caso dei giovani dobbiamo farci perdonare di aver fatto crescere finti campioni senza esserci accorti che lo sono, complici del contrabbando di dopolavoristi perditempo privi di testa, tecnica e fisico e senza ambizione per grandi giocatori di basket. Si sta parlando del collettivo non delle eccezioni.

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Morale oggi ci ritroviamo in mano:

  • Due squadre senza fiato. La attenuante può valere per la D che ha iniziato tardi una preparazione peraltro carente, non per U20 che, terminato il campionato, ha girato la regione e non solo per tornei estivi. Fotto sta che i nostri atleti troppo spesso in campo camminano o vagolano con la testa per aria, guardando le stelle e cercando l’ispirazione non per fare canestro o qualcosa di utile a sé e alla squadra ma per polemizzare con l’arbitro o i compagni in campo o in panchina e non di rado con il coach.
  • Non si capisce però perché se a mancare è il fiato gli allenamenti non siano finalizzati soprattutto alla sua formazione.
  • Due squadre con percentuali in genere da far rabbrividire chiunque mastichi un po’ di basket.
  • Anche qui allora non si capisce perché gli allenamenti non siano finalizzati al perfezionamento del tiro.
  • Due squadre che si dovrebbero completare vicendevolmente e che invece sembrano ignorarsi.
  • Due squadre che non vogliono o non sanno fare panchina.
  • Due squadre prive di talenti veri. Non si dice mezzi talenti si dice talenti veri. I talenti veri sono coloro che non impazziscono per il basket, sacrificando ad esso studio, lavoro, famiglia, affetti, ma si sanno organizzare per raggiungere l’eccellenza o almeno la sufficienza in tutto. Noi abbiamo qualche discreto giocatore che se è in giornata buona combina qualcosa di discreto, ma che la partita successiva è capace di ricadere nella mediocrità. Anche i talenti veri hanno la giornata storta ma se ne accorgono subito , si adeguano, cambiano registro ed in genere recuperano in fretta la défaillance momentanea. E soprattutto i talenti veri non parlano con lingua biforcuta, non cercano pretesti né scaricano su altri ogni responsabilità.

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Alla luce di queste considerazioni è ora giusto si dica cosa nel girone di ritorno la società nella persona del suo presidente non è più disposta a vedere: 

  1. Chiunque tiri da fuori- cioè preferisca alla penetrazione o allo scarico, ritenuti troppo faticosi e meno nobili – il tiro che fa tanto più figo e porta fama – se non colpisce nemmeno il ferro o il tabellone, torna in panchina.
  2. Chiunque non segni almeno un libero su 2, passa tutto l’allenamento successivo a tirare liberi
  3. Chiunque si metta a disquisire inutilmente con gli arbitri, sarà punito.
  4. Chiunque meni il can per l’aia con i compagni o mandi a quel paese esplicitamente o implicitamente il coach verrà spedito in Siberia
  5. Linguaggio del corpo, postura e phisique du role: non siamo più disponibili ad osservare dalla tribuna la panchina degli avversari – di solito sopra di noi di 20 punti – sostenere i loro compagni con calore travolgente e il coach avversario, sbracciarsi come un ossesso, mentre la nostra panchina – pur sotto di 20 – è fatta di musi lunghi – come cani, ovviamente bastardini, bastonati- e i nostri coach pacifici seduti a disquisire come in una tea–room o preferibilmente in una camera d’oppio.
  6. non siamo più disponibili a vedere i nostri atleti agitarsi in commedie dell’arte con gli arbitri, infastidendoli, disgustando il pubblico che ovviamente si fa sentire ed accresce il fastidio degli arbitri, atleti che se al quarto fallo o addirittura al quinto, devono rientrare in panchina, ricevono pure la consolazione del coach, che agli occhi di chiunque- sicuramente a quelli dell’interessato, ma anche a quelli dei compagni, mentre a quelli del pubblico e degli avversari porta a sconcerto- equivale ad un incoraggiamento a delinquere
  7. Non siamo più disposti a vedere atleti che ai rimbalzi vanno con una sola mano non per afferrare la palla e tenerla stretta ma perché convinti che basti pattaffarla e se poi va all’avversario o fuori dal campo.. pazienza .. tanto basta sfiorarla. E se dovessero continuare così, almeno vorremmo vederli schiattare negli allenamenti in rimbalzi in attacco ed in difesa.

Inoltre quanto al gioco:

  • Non siamo più disponibili a vedere che – si abbia di fronte l’avversario tizio o caio- noi scendiamo sempre con lo stesso spirito, le stesse intenzioni, la medesima impostazione. Ciò denuncia supponenza, arroganza, presunzione, non accettabili se sei il primo in classifica, patetiche, stupide, miserevoli se sei l’ultimo.
  • Leadership: o c’è o non c’è. Però ci dobbiamo porre il problema della assenza di un leader sia i U20 che in prima squadra. Non è mancanza alla quale si possa rimediare con il collettivo o dalla panchina. In campo ci vuole chi sa interpretare e condurre a successo il disegno della squadra nella partita in gioco. Per spiegarmi meglio e non fare gli esempi già più volte citati, spiego cosa intendo dire. Ricordo Stefano Tomat, quando in CSILVER, allora credo C2, allenata da Lorenzo Bettarini, girone di ritorno, quando si era a rischio di PLAYOUT, prese letteralmente la squadra per mano e la portò – vittoria dopo vittoria- fino a quella memorabile contro UBC a casa loro al Benedetti, che Lorenzo, quando ne parla, ancora si commuove. Ecco a noi servono due figure così. Non ci sono? Bisogna individuarle, sceglierle e formarle. Altrimenti non ce la facciamo. Da soli non ce la farete mai. Serve un atleta, un compagno riconosciuto dai compagni come il trascinatore al successo. In caso contrario la prima squadra il prossimo anno farà la promozione se ci sarà una società disposta a farla e la U20 che avrebbe dovuto fare sfracelli e dare mezzo roster alla prima squadra, non accederà alla fase gold del campionato. La società in generale ed io personalmente non reggiamo due fallimenti così, almeno uno dei due dobbiamo evitare, anche a costo di sacrificare l’altro.
  • Schemi, schemini, schemetti: se tutto quanto fin qui scritto è vero, e secondo noi lo è, ne consegue che i nostri atleti, di tutto necessitano tranne che di quelli, innanzitutto perché non sono in grado di capirli, secondariamente perché le poche volte che li capiscono, dopo la prima applicazione li hanno già scordati. Pertanto, l’accanimento dei coach in allenamento, in partita, inginocchiati con la lavagnetta ed il pennarello – ostentati come Muti ostenta la bacchetta mentre dirige la nona di Beethoven o il chirurgo fa un trapianto del cuore – ad insistere sui disegni è più funzionale a dare sfogo alla loro vanità di sfoggio della conoscenza appresa ai clinic o nei corsi o sui libri, ma non risolve i problemi di gioco, né ci salva agli occhi degli avversari o del pubblico. Qui si parla della situazione data e di questi atleti non in generale. Peraltro, senza accanirsi troppo con la fantasia, la nostra storia ci ha visti vincere e scalare le classifiche mica con 100 schemi, schemini o schemetti. Direi due formule fondamentali: a uomo o a zona. Sempre intendendo un a uomo vero e non in fuga dall’avversario per paura di buscarle e una zona altrettanto vera e non un colabrodo dove passa chiunque, anche un tir o un transatlantico. Pertanto dopo un girone di schemi, schemini, schemetti la società dice ai suoi coach: gettate le lavagnette e in allenamento formate degli uomini vogliosi di battersi e di portare a casa il risultato, e in panchina in gara chiamate time out per raddrizzarli e menarli quando non lo fanno e non per instupidirli ulteriormente con lezioni di basket. Che non servono a nulla come ci dice il girone di andata. Rendetevi conto che avete a che fare con dei poveri ragazzi che più che di un coach avrebbero bisogno di supporto psicologico e non avete a che fare con dei campioni
  • Troppi palleggi: c’è una bella differenza tra l’eccesso di palleggi per disorientare l’avversario ed il palleggio esasperato perché non sai come venirne fuori. I nostri atleti non sanno cosa sia il primo e sono maestri nel secondo, così assistiamo a spettacoli imbarazzanti che portano ad un numero fuor dal comune di palle perse, palle fuori linea, palle rubate dall’avversario. Qui non c’è schema schemino, schemetto che tenga, siamo ai fondamentali.
  • I magheggi: sono quelli che spesso ti fanno vincere anche se non lo meriti. Sono vittorie più a tavolino che in campo, quindi le devi pensare per tempo, preparare e consumare a freddo. Pertanto sono vittorie più del coach che della squadra, che deve attuare con scrupolo e diligenza il disegno criminale. Per i magheggi servono i maghi e i nostri atleti, come si è visto e detto non lo sono. Però qualcosa si può fare. Per non ripetere sempre i magheggi di Andriola’s memoria che siamo stufi di ricordare, ne cito uno recente: Andrea, subito nel quintetto di partenza ad Azzano. Nessuno se lo aspettava, ha funzionato, ha aiutato al vantaggio iniziale, mantenuto fino al termine della partita. Bisogna pensare a cose del genere nei limiti del fattibile con ciò di cui disponiamo.

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Alcune questioni generali: si tenga inoltre conto che:

  1. Pubblico: sia in U20 che in prima squadra i nostri atleti sono molto soli quando devono vedersela con gli avversari. Il calore del pubblico manca anche quello dei supporters e dei tifosi più stretti – amici, familiari, minibasket…- Verrebbe da dire che è direttamente proporzionale alla qualità dello spettacolo. Ma sarebbe troppo ingeneroso, però un pezzo di verità c’è. Alle ultime partite, quelle in cui avremmo dovuto portare a casa i due punti della bandiera e del decoro poi presi in trasferta, sono venuti alcuni tifosi di vecchia data che se ne sono andati delusi ed innervositi. Queste cose non le vengono a dire a voi, ma a me sì, come a me si rivolgono per strada o in piazza per commenti che gli atleti e i tecnici possono pure snobbare, ma che un presidente deve ascoltare, fornendo pure le risposte necessarie a stimolare attaccamento, sostegno e in taluni casi pure sponsorizzazione. Superfluo aggiungere che sto incontrando molte difficoltà. Va anche detto che Tarcento è sempre stata al riguardo una piazza difficile anche quando veleggiava ai vertici delle classifiche. Eravamo più conosciuti fuori città, in regione e fuori regione, che in casa. Ma non dobbiamo esagerare sulla freddezza del pubblico tarcentino. In CGOLD è stato facile riempire il palazzetto con diverse centinaia di spettatori – costretti a parcheggiare anche in piazza – e lo si è fatto più volte. Lo spettacolo c’era, meritava e la gente veniva. Il palazzetto non era riempito solo da esterni. Direi fifthy- fifthy. E lo abbiamo riempito pure in categorie inferiori, anche in D e non solo nei derby, con Tricesimo, Fagagna, San Daniele, Gemona.

Certo che se va avanti così è il caso di ripensare all’opportunità di introdurre nuovamente il biglietto di ingresso. Quando lo abbiamo fatto – anche in D – non abbiamo perso uno spettatore e almeno abbiamo recuperato le spese del medico e del fotografo. Immagino che chi non è toccato dal problema non sarà d’accordo, ma non capisco perché chi non vince o non fa vincere deve continuare imperterrito nelle sue nefandezze, mentre chi mette sempre soldi non può cercarli altrove. Se qualcuno me lo spiega, gli sarò molto grato.

  1. Sponsor: la questione è analoga. Tocca sempre i temi estranei agli specialisti e ai maghi del basket. Però senza sponsor, a quei soloni rimangono forse e dove ci sono solo i campetti. Palazzetti, campionati, divise, rimborsi … niente di tutto ciò. Per carità a Trieste e a Monfalcone, molte squadre non troppo diverse da noi sono abituate da sempre ad avere atleti che si spesano al 100 %. Oppure diciamo che sarebbe possibile portando le attuali rette dei corsi da 300, 400 euro annuali a 1000, 1500. Non c’è una relazione diretta tra classifica e sponsor, ma in un momento in cui qualsiasi sponsor – piccolo o grande che sia non fa differenza – è alla ricerca di pretesi per defilarsi, essere in fondo alla classifica offre su di un piatto d’argento l’opportunità di farlo.

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Un bagno di umiltà, sapersi mettere in discussione con realismo, capaci di giocare in squadra perché tutti necessari nessuno indispensabile: ci riguarda tutti, nessuno escluso. In particolare:

  1. Gli atleti: di loro si è già detto e scritto abbastanza. Sintetizzando al massimo, riassumerei cosi: i ragazzi di U20 sono da sempre sopravvalutati- direi più dalla società e da loro medesimi che dal coach. Il peggio è – e qui iniziano le responsabilità del coach- che sono capricciosi, viziati, coccolati, gli si concede tutto o comunque troppo, sono maleducati in senso lato, non solo mancano di galateo, non sanno cosa sia il vero rispetto- quello per le persone e le cose, per la parola data, per gli impegni presi. Insomma sono dei pappamolla, smidollati, mosci. Gli atleti di prima squadra sono semplicemente scarsi e inadeguati.
  2. Il presidente: tra i tanti limiti e difetti che non fatico a riconoscermi, respingo quello di non sapermi mettere in discussione, di non voler o sapere giocare in squadra. Al riguardo è la mia storia – ormai lunga – che parla. Direi che caso mai- come la scorsa stagione, mi assumo responsabilità anche non mie. Piuttosto sono ipercritico fino alla pignoleria, e per questo rompipalle, ma prima che verso gli altri lo sono verso me stesso. Certo di gran lunga preferirei che Tarcento Basket fosse più e meglio ricordato per la qualità e i risultati del gioco in campo che per i terzi tempi post partita – dei quali ancora si parla in tutta la regione o degli eventi tipo quello del 4 e 5 gennaio . Ma io personalmente mi sono speso per i secondi, ai primi sono altri che devono pensare. E poi i due non sono alternativi.
  3. I coach: Per non parlare solo con parole mie che sono quelle di un non esperto, anche se ormai in 25 anni di presidenza- in palazzetto e panchina – ho visto e frequentato tanti coach e di tutti i calibri – autodidatti, blasonati, giovani e imberbi, attempati e molto esperti, ex giocatori e coach purosangue, sanguigni e freddi ragionatori, buoni come il pane e bestie assettate di sangue, leali e mascalzoni- Per cui direi che un anziano selezionatore di risorse umane come me ha imparato a valutare, scegliere e scaricare le bestie che ha di fronte. Allora ho pensato di cavarmela prendendo a prestito una considerazione di Ettore Messina tratta da un suo recente testo perché ne sa più di me e penso, più di voi. Dice Messina: “Quando un giocatore gioca male il coach vede come risolvere il problema e lo risolve. Subito. Quando tutta la squadra gioca male, il coach si ritira in disparte, riflette si chiede cosa non va. A partire da sè stesso, si confronta con gli altri attori coinvolti- squadra, società – pensa alle soluzioni per venirne fuori- le propone al confronto, se non ne ha, si confronta con quelle degli altri. Una ultima cosa resta da dire- e qui mi faccio carico di esprimere una opinione che in tanti atleti compresi, mi hanno voluto riferire confidenzialmente perché la gestissi nel modo migliore -: se si è lassisti nei giorni feriali, è inutile fare la voce grossa la domenica, urlando come ossessi in partita per ciò che si è lasciato correre negli allenamenti. Fuori di metafora: non puoi fare con gli atleti il compagno di giochi e il coach a fasi alterne, come ti gira, se lo fai perdi in autorevolezza e riconoscimento. I fatti parlano da soli e chiaro.

Ecco, alla ripresa, ad inizio girone di ritorno, questo è ciò che vi si chiede, che non vi intestardiate sui copioni già visti e che già hanno fallito e che non pensiate che sia sufficiente insistere perché o ragazzi capiscano ciò che finora non hanno capito. Forse è la lezione sbagliata e semplicemente non c’è nulla da capire, bisogna proprio cambiare testo di studio. Questa è l’apertura mentale che vi si chiede da ora in avanti, a partire dalla riunione di venerdì 3 gennaio alle 18.00.

Alessandro Tesini basket day tarcento

CONCLUSIONI

Concludendo, le opzioni della società sono:

  • Non ci aspettiamo che saremo cercati, fin tanto che la finestra del mercato rimane aperta, da giocatori che valga la pena arruolare in prima squadra, per rafforzarci nel girone di ritorno. Se dovessero farsi avanti da soli, li prenderemo in seria considerazione, soprattutto per rafforzarci nei ruoli in cui più siamo carenti, a condizione però che si tratti di atleti migliori di quelli che già abbiamo, altrimenti la riduzione del danno vuole che si continui con questi. Migliorandoli fin che si può. Al riguardo nutro fortissime perplessità. Ciò che ritengo possibile è un buon lavoro in tandem tra Franco e Fabio che ottimizzi le poche doti dei ragazzi di prima squadra in modo da ottenere da loro sempre il massimo di cui sono capaci. Già hanno poco, se poi consentiamo loro – per scelte di impostazione sbagliate o per errori contenibili- di non dare nemmeno quel poco tanto vale chiudere baracca.
  • Deve aumentare in numero e qualità la partecipazione dei giovani U20 in prima squadra. Questa è la vera svolta, il vero lavoro di squadra, al quale è atteso il collettivo dei coach da qui in avanti. Se sarà – come credo lo sarà – necessario rimodulare i roster e l’organizzazione degli allenamenti per favorire la volta lo faremo. Da subito! Non c’è al riguardo nulla da attendere. Sicuramente è da rivedere il calendario degli allenamenti, per non concedere a nessuno l’alibi di non partecipare alla prima squadra per eccesso di impegni. Due sono i nodi da sciogliere per gli studenti e i non autonomi negli spostamenti: il numero degli allenamenti e il termine orario delle 22.00.
  • Non può essere esclusa la possibilità di far giocare qualche U20 solo in prima squadra. Se l’interessato non ci sta o non ci sta al doppio campionato, amen, va a casa!
  • Responsabile tecnico e dirigenziale della transumanza tra U20 e prima squadra sarà Fabio Baccino.

(AT)